Eziologia
Gli agenti eziologici delle leptospirosi sono le leptospire appartenenti all’ordine Spirochetales, ed in particolare Leptospira interrogans in tutte le sue più di 200 sierovarianti raggruppate in 23 sierogruppi di parentela antigenica.
Tra le varianti che più frequentemente colpiscono l’uomo vi sono: L.interrogans var. icterohaemorragiae, canicola, autumnalis, hebdominis, australis, pomona e hardjo. Caratteristiche comuni sono costituite da febbre ad esordio improvviso (talvolta difasica), cefalea, brividi, mialgia grave, soffusioni congiuntivali, meningite, manifestazioni eruttive, anemia emolitica, emorragie diffuse di cute e mucose, insufficienza epato-renale, ittero, miocardite e coinvolgimento polmonare con o senza emottisi. Nelle aree in cui la leptospirosi è endemica la maggior parte delle infezioni decorre in forma subclinica o comunque in forma troppo lieve per essere diagnosticata. Spesso la malattia viene misdiagnosticata come meningite, encefalite, o influenza e sotto stimata come incidenza. La malattia dura da pochi giorni a tre settimane o più. La guarigione di casi non trattati può richiedere parecchi mesi. Le infezioni possono decorrere in forma asintomatica o in forma gravissima: ciò dipende dalla sierovariante coinvolta nell’infezione. Il tasso di letalità è basso ma può aumentare in relazione all’età avanzata dell’ammalato oltre che nei casi gravi di ittero e danno renale non sottoposti a dialisi.Tipi diversi di leptospire tendono a caratterizzare località diverse per cui i test sierologici devono utilizzare pannelli di leptospire a diffusione locale. Le difficoltà diagnostiche hanno reso difficile il controllo della patologia ed inasprito in alcune situazioni la gravità clinica della malattia aumentandone il tasso di letalità.
La malattia nell’uomo
L’infezione nell’uomo si verifica quando il microrganismo, escreto con le urine od i tessuti del parto (placenta e liquido amniotico) di molti animali e presente nelle acque o nel suolo, penetra attraverso soluzioni di continuo della cute o delle mucose. E’ possibile contrarre l’infezione anche attraverso il contatto diretto con tessuti od organi di animali infetti. Le manifestazioni cliniche variano da una forma asintomatica, rilevabile dalla sieroconversione, a due sindromi clinicamente riconoscibili, una autolimitantesi ed una fulminante (Weil’s disease) con insufficienza renale, epatica e respiratoria. In oltre il 90% dei casi la malattia si presenta in forma lieve ed anitterica. Dopo un periodo di incubazione di 2-30 giorni, ha inizio la fase acuta o leptospiremica, caratterizzata da febbre alta (38-40°C) e remittente, brividi, cefalea violenta, mialgie, malessere, soffusione congiuntivale e, frequentemente, anoressia, nausea e vomito. Segni meno comuni sono la linfoadenopatia e l’epatosplenomegalia. La fase leptospiremica dura di solito 4-8 giorni e, nei casi gravi, si accompagna, già nella prima settimana, ad ittero. La defervescenza, che avviene dopo circa 7 giorni, indica il passaggio alla fase immune o leptospirurica, che dura da 4 a 30 giorni ed è caratterizzata, nella forma autolimitante, da brevi puntate febbrili spesso associate a segni di irritazione meningea. Nella Malattia di Weil compaiono, invece, insufficienza epatica con ittero ed iperbilirubinemia ed insufficienza renale con uremia ed oliguria. La polmonite emorragica e la sindrome da distress respiratorio possono essere le manifestazioni uniche e/o principali dell’infezione. Gli esami di laboratorio mostrano leucocitosi e, nei casi di ittero, iperbilirubinemia, con minima compromissione delle transaminasi. L’esame delle urine rivela proteinuria e frequentemente ematuria e leucocitaria, con cilindri ialini e granulosi. Il liquor cerebrospinale mostra modesta pleiocitosi linfocitica con iperproteinorrachia e glicorrachia normale.
Il “gold standard” per la diagnosi è l’isolamento e l’identificazione delle leptospire in campioni di sangue, liquido cerebrospinale ed urine nei primi 7-10 giorni di malattia, e in campioni di urine durante la seconda e terza settimana di malattia. Tuttavia, l’isolamento può essere difficoltoso e può richiedere fino a 16 settimane e poi, la sensibilità dell’esame colturale è ritenuta bassa. Pertanto, si ricorre, anche, ai test sierologici (MAT ed ELISA) ed ai metodi molecolari come la PCR. Il trattamento della forma moderata-severa prevede l’uso della penicillina G (1.5 milioni/U) o dell’ampicillina (0.5-1 g.) ogni 6 ore; nella forma lieve è possibile usare doxiclina (100 mg. x 2) per os, ampicillina (500-750 mg.) o amoxicillina 500 mg. ogni 6 ore. Qualunque sia la forma, tale trattamento deve essere iniziato tempestivamente. La prevenzione si basa sulla vaccinazione degli animali domestici e sul controllo dei roditori.
La malattia negli animali
Premesso che ogni sierotipo di leptospira è potenzialmente in grado di infettare mammiferi di qualsiasi specie, la leptospirosi nei nostri animali può decorrere in forma acuta e grave con setticemie, emorragie, epatiti, nefriti e meningiti; in forma sub-acuta moderatamente grave con nefriti, epatiti, agalassia, meningiti; in forma cronica con iridociclite, aborti, mortalità neonatale; ed in forma subclinica evidenziabile con il solo rilievo anticorpale.
CANE
Il cane può essere colpito da L. icterohaemorragihae (Weil canino) che determina una sindrome ittero-emorragica acuta, sintomi renali ed intestinali; da L. canicola (malattia di Stoccarda o tifo canino) che dà nefrite interstiziale, gastroenterite emorragica, stomatite ulcerosa, forme uremigene; oltre che da L.bratislava, L.pomona, L. grippothyphosa e altre.
sindrome itterica in un cane colpito da leptospirosi
L’infezione che nel cane è cosmopolita benchè in diminuzione grazie alla vaccinazione, colpisce soggetti di tutte le età, razza, sesso. Essa è legata a fattori stagionali (tarda estate-autunno, periodi di piogge) oltre che ad attività particolari del cane come la caccia, la ricerca di tartufi, etc… Il contagio è indiretto di solito tramite contatto con acque infette, topi e ratti portatori. Il quadro clinico presenta un periodo di incubazione di 5-9 giorni, leptospiremia, febbre, abbattimento marcato, anoressia, congestione oculo-congiuntivale, vomito, ittero, polidipsia per compromissione renale, stato uremico, iperazotemia da alterazioni epatico renali. Possono esserci dei sintomi nervosi di meningite e meningo-encefalite oltre che interessamento dell’occhio con iridocicliti e cheratiti. Per ciò che concerne la malattia di Stoccarda si può avere anche oltre al vomito intenso e frequente, feci vischiose giallastre con bile o rossobrunastre emorragiche, stomatite con necrosi epiteliale e scialorrea. La terapia prevede antibiotici (penicillina, tetracicline per evitare lo stato di portatore asintomatico), reidratazione e controllo del vomito.
La vaccinazione semestrale, molto diffusa, prevede l’utilizzo di ceppi di L. icterohaemorragihae, L. canicola, L.pomona e L. grippothyphosa.
GATTO
Il gatto è una specie molto resistente. I test sierologici dimostrano l’esposizione all’infezione, ma non ci sono rilievi clinici noti.
Secondo alcuni Autori i gatti potrebbero aver sviluppato una particolare resistenza all’infezione o comunque una sorta di immunità per il loro antico rapporto con i roditori portatori usuali del patogeno.
BOVINO
Nel bovino la leptospirosi, infezione cosmopolita, si manifesta con febbre, anemia, ittero, emoglobinuria, agalassia, mastite atipica, aborto nelle forme gravi; nelle forme lievi fruste è asintomatica. Colpisce adulti e vitelli, questi manifestano una sintomatologia più grave ed evidente.La sierovariante hardjio, di cui il bovino è ospite di mantenimento determina infezione endemica in molti paesi. La sierovariante pomona che ha come ospite il suino ha dimostrato un’elevata affinità per questa specie che ne rimane eliminatrice per parecchi mesi.
SUINO
Il suino è da considerarsi ospite di mantenimento di L.pomona e L.tarassovi: germi pericolosi per il loro elevato potere patogeno (aborto che è pressochè l’unico sintomo evidente), per la permanenza nelle urine, per il contagio interspecie (uomo). In Italia sono state evidenziate sieropositività in allevamenti con problemi di fertilità.
EQUINO
In questa specie la leptospirosi è molto rara.
Epidemiologia
Si tratta di una malattia diffusa in tutto il mondo, in aree urbane come in aree rurali, in aree sviluppate come in aree in via di sviluppo, con l’unica eccezione delle regioni polari. Rappresenta un rischio occupazionale per i lavoratori nelle piantagioni di riso o nei campi di canna da zucchero, per i contadini,per i cacciatori, i boscaioli, per i lavoratori dei servizi fognari, nei minatori, nei veterinari, in allevatori, in addetti alla produzione di latte e latticini, nei lavoratori dei macelli e negli addetti alla lavorazione del pesce oltre che nei militari. Chiunque sia esposto ad acque stagnanti di fiume, canale, di lago, acquitrini contaminati da urine di animali domestici o selvatici o comunque da urine e tessuti di animali infetti. La leptospirosi rappresenta un rischio per quanti usino fare il bagno, praticare sport o campeggiare in aree infette. Per via del rischio professionale è una malattia che colpisce prevalentemente i maschi. Sembra essere in aumento nei bambini nelle città.
Trasmissione
Il serbatoio dell’infezione è rappresentato da animali domestici e selvatici; le sierovarianti cambiano con il tipo di animale colpito. I portatori usuali della malattia sono rappresentati dai ratti (icterohaemorragiae), dai cani (canicola), dai procioni (autumnalis) in USA e in Europa dal topolino dei campi (bratislava).
I portatori usuali della malattia sono rappresentati dai ratti
Numerosi altri animali possono fungere da serbatoio seppur meno importante per il periodo più breve d’eliminazione del batterio nell’ambiente esterno come: roditori selvatici, scoiattoli, cervo, opossum, volpi e mammiferi marini. I rettili e gli anfibi non dovrebbero esserne eliminatori.
Negli animali portatori si può avere un’infezione asintomatica o paucisintomatica che colpisce i tubuli renali con escrezione renale di leptospire che può esitare in lunghi periodi di eliminazione del patogeno con le urine nell’ambiente, anche per anni, per tutta la vita dell’animale infetto.
La modalità di trasmissione principale avviene per contatto della cute, in particolare se abrasa, oppure delle mucose con acqua, suolo umido o vegetazione contaminata con urine di animali infetti, come nel corso di nuotate, di immersioni accidentali o per abrasioni occorse durante le attività lavorative; per contatto diretto di cute o mucose con tessuti e urine di animali infetti, per l’ingestione di cibi o acque contaminate con urine di ratti infetti, talvolta per inalazione di goccioline aerosolizzate di fluidi contaminati in ambienti umidi chiusi.
In caso di regioni con terreni soggetti ad alluvioni periodiche il rischio della diffusione del patogeno può aumentare: dai canali, le pozze o le fogne stesse contaminate si può diffondere a tutto il terreno alluvionato compresi orti e giardini coltivati oltre che pollai, aie, cortili e luoghi dove circolano animali domestici che possono a loro volta infettare l’uomo.
Un serbatoio di infezione molto vicino all’ uomo può essere sovente il cane. Quest’ ultimo può contagiarsi per ingestione delle urine di ratto infetto con il leccamento di queste. Le urine di ratto infatti possono ricordare l’odore di quelle delle cagne in calore.