Eziologia
Il virus dell’Influenza aviaria appartiene al genere Influenzavirus A, famiglia Orthomyxoviridae: sono virus provvisti di envelope costituito da un doppio strato lipidico, pleomorfi, la cui grandezza del virione è compresa fra 80 e 120 nanometri.
Sono costituiti da RNA monocatenario a polarità negativa con genoma segmentato (questa caratteristica condiziona le proprietà biologiche permettendo il fenomeno del riassortimento genico).
8 geni in totale codificano 10 componenti proteici: 3 sono rappresentati da proteine di superficie comprese nell’envelope virale; esse inducono la principale risposta neutralizzante dell’ospite: emoagglutinina (HA), neuraminidasi (NA) e proteina di matrice 2 (M2).
L’emoagglutinina H, enzima ad attività emoagglutinante, favorisce l’adsorbimento del virus al recettore cellulare della cellula ospite
La neuraminidasi N consente al virus la penetrazione nella cellula ospite e, successivamente, la liberazione dei virioni a seguito dell’avvenuta replicazione all’interno della cellula.
I virus influenzali sono classificati in tre tipologie: tipo A, B e C in base ad antigeni di gruppo. I virus influenzali aviari sono tutti del tipo A.
I virus del tipo A sono suddivisibili in 16 sottotipi H, in base alle caratteristiche biochimiche dell’antigene emoagglutinante H presente (da H1 a H16), e 9 sottotipi N in base alle caratteristiche biochimiche dell’antigene neuramidasi (da N1 a N9). In base alla patogenicità riscontrata mediante test di laboratorio, i virus influenzali possono essere classificati in ceppi a bassa patogenicità e ad alta patogenicità. Solo alcuni ceppi dei sottotipi H5 e H7, recanti una particolare sequenza aminoacidica a livello del sito di rottura del precursore della proteina emoagglutinina, sono responsabili delle forme influenzali aviarie ad alta patogenicità.
Il virus influenzale di tipo A colpisce, oltre che l’uomo, diverse specie animali (per esempio volatili di diverse specie, suini, equini e addirittura cetacei). Il virus che infetta gli uccelli viene appunto denominato virus dell’influenza aviaria: esso ha un particolare adattamento nei riguardi dei volatili selvatici, che possono ospitare tutti i ceppi conosciuti senza contrarre malattia evidente, potendosi poi da questi trasmettere ad altri uccelli, anche domestici (per contatto diretto e attraverso i processi migratori). A differenza delle situazione relativa al mondo animale (ed aviario in particolare), di norma, soltanto virus appartenenti a tre sottotipi di H (H1, H2, H3) infettano l’uomo.
Negli uccelli è stato possibile isolare tutte le combinazioni di antigeni H e N, derivanti da fenomeni di riassortimento genico. Tali eventi sono favoriti dallo stato di segmentazione del genoma virale: questa peculiarità dei virus influenzali facilita il rimescolamento dei geni appartenenti a due progenitori virali all’interno di una stessa cellula ospite in caso di coinfezione.
La nomenclatura attuale si basa sulla combinazione degli antigeni di superficie H ed N.
Ecologia
La maggior parte degli isolamenti dell’agente avvengono su volatili selvatici e, in particolare, su uccelli acquatici appartenenti agli ordini degli Anseriformi e Chradriformi che funzionano da serbatoio di infezione. In genere contraggono infezioni asintomatiche, ma albergano il virus e contribuiscono alla sua diffusione tramite le deiezioni. Tale stabilità del rapporto ospite (anatra) / parassita (virus), garantisce il mantenimento dell’agente in natura, consentendo al virus di conservare un’apparente stabilità genetica. Le anatre possono tuttavia infettarsi simultaneamente con differenti sottotipi; questa rappresenta una condizione di notevole importanza, alla base dei fenomeni di riassortimento genico. La natura subclinica dell’ infezione, il fatto che tutte le combinazioni H e N colpiscano gli uccelli acquatici, unitamente al loro comportamento migratore e alla capacità dei virus dell’influenza di persistere nell’acqua fredda dei laghi, caratterizzano gli uccelli acquatici come un immenso serbatoio naturale del virus. Inoltre le caratteristiche di questo serbatoio rendono molto difficile il monitoraggio della malattia.
Resistenza
Il virus dell’influenza aviaria non presenta caratteristiche di particolare resistenza. Tuttavia la persistenza nell’ambiente diviene di un certo rilievo quando il virus sia presente nelle feci e nei tessuti animali: in tali matrici, la sopravvivenza del virus può prolungarsi alle basse temperature (30 giorni a 0 gradi) e divenire indefinita con il congelamento. L’agente è sensibile al pH acido ed al calore. E’ inattivato alla temperatura di 60 °C in 30’ minuti e da vari disinfettanti.
Patogenicità
Influenza Aviaria causata da:
Virus a bassa patogenicità LPAI Virus ad alta patogenicità HPAI
COLPISCE VOLATILI SELVATICI E DOMESTICI
È DETERMINATA ESCLUSIVAMENTE DAI SOTTOTIPI H5 E H7
I SELVATICI NON MANIFESTANO LA FORMA CLINICA MA REPLICANO L’AGENTE E LO ELIMINANO (FECI)
HA UN ALTO POTERE INFETTIVO, PATOGENO, E DI TRASMISSIBILITA’
I DOMESTICI HANNO UNA FORMA INAPPARENTE, SPESSO NON DIAGNOSTICABILE CLINICAMENTE
QUANDO COLPISCE UN ALLEVAMENTO AVICOLO (SOPRATTUTTO DI TACCHINI) CAUSA IN GENERE LA MORTALITÀ DELLA TOTALITÀ DEI SOGGETTI
E’ SOSTENUTA DA TUTTI I SOTTOTIPI (H1-H15) COMPRESI H5 E H7
Riconosciamo quindi una fondamentale distinzione fra virus influenzali a bassa patogenicità (LPAI) e virus influenzali ad alta patogenicita (HPAI). E’ stato dimostrato che il virus LPAI, sottotipo H5 e sottotipo H7, può andare incontro a mutazione: da questi eventi possono derivare agenti influenzali ad alta patogenicità (HPAI). Il fenomeno si può verificare anche dopo che il virus ha stazionato a lungo in una stessa zona: durate l’epidemia del 1983-84 negli Stati Uniti d’America, il virus H5N2 causò inizialmente una bassa mortalità, tuttavia dopo 6 mesi divenne altamente patogeno, con una mortalità vicina al 90%. Il controllo dei focolai richiese la distruzione di oltre 17 milioni di uccelli, con un costo approssimativo di 65 milioni di dollari. Durante l’epidemia del 1999-2000 in Italia, il virus H7N1, inizialmente a bassa patogenicità, mutò dopo 9 mesi in una forma altamente patogena. Oltre 13 milioni di uccelli morirono o furono distrutti.Gli anseriformi (anatre, cigni e altri uccelli acquatici) sono serbatoio per i ceppi LPAI e sono resistenti alla forma clinica sostenuta da ceppi HPAI.
Mutazioni
La patogenicità variabile, la loro virulenza, il coinvolgimento di specie diverse (tra cui l’uomo) quindi in ultima analisi la loro pericolosità sono da ricercarsi sopratutto nella capacità propria di tutti i virus influenzali di mutare costantemente attraverso due meccanismi diversi.
I virus influenzali di tipo A sono geneticamente poco stabili, quindi sfuggono facilmente al riconoscimento da parte delle difese immunitarie dell’ospite; essendo RNA virus, mancano dei sistemi di controllo e correzione degli errori genetici che si verificano normalmente nel corso di ogni evento di replicazione virale. Queste minime variazioni di composizione sono definit “antigenic drift” (deriva antigenica). La deriva consiste in una graduale modifica della struttura di quelle proteine in grado di stimolare una risposta immune (glicoproteina HA , NA e M2). Tale evento determina un continuo riassetto genetico del virus, con emersione di nuove varianti antigeniche. Le nuove varianti, se sufficientemente diverse dalle circolanti nella popolazione, possono non essere più riconosciute dagli anticorpi dell’ospite e determinare la comparsa della malattia (epidemie stagionali di influenza umana). Tali modifiche devono essere via via individuate dai ricercatori per consentire l’aggiornamento continuo della composizione antigenica dei vaccini influenzali umani e garantirne l’efficacia sulla popolazione..
I virus influenzali di tipo A, compresi quelli provenienti da differenti specie animali, presentano anche un’altra caratteristica di grande interesse per la salute pubblica: hanno la capacità di scambiare fra loro materiale genico: tale fenomeno, definito “antigenic shift” (spostamento antigenico), determina la comparsa di nuovi sottotipi, differenti da quelli dei virus (progenitori) di partenza. Poiché la popolazione non possiede immunità verso il nuovo sottotipo, e dal momento che i vaccini disponibili, allestiti per i sottotipi circolanti, non sono in grado di conferire adeguata protezione, la comparsa di nuovi sottotipi può determinare la comparsa di pandemie: alcune di queste si ricordano ancora oggi (“Spagnola”), in quanto caratterizzate da un elevato numero di decessi.
Perché ciò accada, devono verificarsi due condizioni particolari:
Ø il nuovo sottotipo deve aver acquisito quei geni (provenienti da virus influenzali umani) che portano le informazioni per la trasmissione dell’agente da persona a persona.
Ø il nuovo sottotipo deve aver acquisito quei geni (provenienti dal donatore virale aviario) che recano le informazioni legate alla alta patogenicità.
Si ritiene da molto tempo che, fra le condizioni che favorirebbero i mutamenti antigenici, possa rientrare anche la stretta contiguità degli esseri umani con il pollame domestico e con i suini (situazione molto frequente nel sud-est asiatico).
Poiché i suini sono suscettibili alle infezioni influenzali sostenute sia da virus aviari che da virus di mammiferi (inclusi i ceppi influenzali umani), essi potrebbero servire come “contenitori” in cui far avvenire il rimescolamento di materiale genetico appartenente a virus umani e virus aviari, con conseguente comparsa di sottotipi nuovi.
Tuttavia, ad oggi, non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino che questo evento sia accaduto nel passato, nel corso di pandemie, né che sia accaduto di recente.
Si ipotizza anche un secondo possibile meccanismo:
studi recenti sembrano suggerire che gli stessi esseri umani rappresentino potenziali “serbatoi” in cui possono avvenire fenomeni di ricombinazione fra geni virali influenzali provenienti da specie differenti.
Quello che accade in pratica è la comparsa nell’ospite di un nuovo ceppo virale con una proteina di superficie (HA e/o NA, M2) appartenente ad un sottotipo differente dai sottotipi normalmente circolanti nella popolazione umana. In definitiva: gli shift antigenici sono riconducibili o a riassortimenti tra virus umani e animali (aviari o suini) in una specie che funga da serbatoio di rimescolamento (maiale, uomo) oppure alla trasmissione diretta di virus non umani all’uomo. Pertanto l’origine dei nuovi sottotipi è da ricondursi sempre a virus animali. Dal momento che la popolazione umana può non possedere adeguata immunità nei confronti di nuovi sottotipi (non avendone precedentemente incontrato gli antigeni inducenti la risposta) e mancando ad oggi vaccini specifici che possano conferire adeguata protezione, si comprende come tale fenomeno possa essere alla base di una infezione improvvisa e invasiva in tutti i gruppi d’età, su scala mondiale; gli eventi pandemici occorsi nel secolo scorso (esempio dato dalla “Spagnola”) sono stati ricondotti a tali modifiche antigeniche di maggiore entità. Tuttavia la comparsa di un ceppo con proteine di superficie radicalmente differenti non è di per sé sufficiente a determinare un evento pandemico: è, infatti, anche indispensabile che il nuovo virus sia in grado di trasmettersi da uomo ad uomo in modo efficace.
Esiste comunque la reale possibilità (e quindi una reale preoccupazione nei virologi), che un ipotetico riassortimento tra virus aviare HPAI e virus influenzale umano possa generare un sottotipo avente le caratteristiche di alta patogenicità “ereditate” dai geni del virus aviare e le caratteristiche di trasmissibilità “ereditate” dai geni del virus umano, acquisendo in tal modo la capacità di trasmettersi da uomo ad uomo.
L’esposizione della popolazione umana al virus aviare determina, pertanto, un aumento delle probabilità che possa verificarsi una concomitante coinfezione con virus umani, seguita da un riassortimento di parti di materiale genico dei due virus.
L’OMS pertanto considera prioritaria l’eliminazione del virus ad alta patogenicità A/H5N1 dalla popolazione dei volatili, ai fini della protezione globale della salute umana. In tale situazione sta pertanto promuovendo e portando avanti tre obiettivi:
Limitare i casi di contagio e morte nella popolazione umana;
Ridurre le possibilità che l’attuale epidemia possa trasformarsi in pandemia influenzale;
Promuovere un’intensa campagna di ricerca scientifica mondiale, volta al miglioramento della prevenzione, anche mediante l’allestimento di un vaccino A/H5N1 per gli umani.
La malattia nell’uomo
L’influenza è la prima malattia ad essere stata sorvegliata dall’OMS (a partire da 1947), in seguito alla grave pandemia del 1918 – 1919 (“ Spagnola”) che ha causato 50 milioni di morti sul pianeta, colpendo anche la popolazione giovanile ed adulta in buona salute.
L’influenza aviaria è classificata dall’OMS come una malattia appartenente alla “lista A”. Questa lista include malattie contagiose “che possono potenzialmente diffondersi rapidamente attraverso gli Stati, con possibili conseguenze pericolose per l’economia e la salute mondiale, oltre che per il commercio di animali e prodotti derivati”.
I dati storici suggeriscono che le pandemie influenzali occorrono in media con una frequenza di 3-4 eventi ogni secolo. Ogni pandemia è determinata dalla comparsa di un nuovo sottotipo virale in grado di determinare contagio interumano. Gli esperti sono concordi nel ritenere possibile, per un prossimo futuro, un nuovo evento pandemico.
1918 – 1919: influenza “Spagnola” (A/H1N1) (40 – 50 milioni di morti stimati). Va rilevato che molti soggetti morirono per complicanze batteriche, in mancanza di somministrazione di presidi chemioterapici.
1957- 1958: influenza “Asiatica” (A/H2N2)
1967 – 1968: influenza “Hong Kong” (A/H3N2) (totale Asiatica e Hong Kong : 4,5 milioni di morti)
Le informazioni che sono state pubblicate sul decorso clinico delle infezioni umane con influenza aviare H5N1 sono limitate agli studi relativi ai casi verificatisi durante i focolai di Hong Kong nel 1997.
In quell’occasione, i pazienti mostrarono sintomi quali febbre, mal di gola, tosse e, in diversi casi con esito fatale, grave sintomatologia respiratoria, secondaria alla polmonite virale.
Furono colpiti adulti e bambini precedentemente sani ed alcuni affetti da patologie croniche.
I test per la diagnosi di tutti i ceppi influenzali umani e animali sono rapidi e affidabili. Molti laboratori della rete globale sull’influenza dell’OMS dispongono di strutture di alta sicurezza e di reagenti utili per l’esecuzione dei test, oltre ad una considerevole esperienza in materia.
Sono inoltre disponibili test rapidi per la diagnosi dell’influenza umana al capezzale del malato, ma non hanno gli stessi requisiti di precisione dei test che vengono normalmente utilizzati nei laboratori di analisi. I farmaci antivirali, alcuni dei quali possono essere usati sia per il trattamento che per la prevenzione, sono clinicamente efficaci contro i ceppi virali di influenza A in adulti e bambini non affetti da altre patologie, ma presentano alcune limitazioni.
Alcuni di questi risultano infatti molto costosi e di limitata diffusione. L’esperienza nella produzione di vaccini influenzali è considerevole, in risposta al fatto che ogni anno si portano variazioni nella composizione per adeguarli alle costanti variazioni antigeniche. La tempistica di produzione di un nuovo vaccino, che possa proteggere in caso di evento pandemico, richiede ancora oggi molti mesi: alcuni di questi servono per la produzione di vaccini prototipi, altri per la loro sperimentazione clinica e la loro successiva produzione di massa: sono quindi allo studio metodi di produzione alternativi a quelli normalmente impiegati, utili a consentire la produzione di grandi quantità di vaccino, in tempi più brevi e in condizioni di sicurezza..
L’OMS intende in ogni modo intensificare la ricerca su base biomolecolare dei virus influenzali circolanti, al fine di identificarne le origini, le correlazioni fra i diversi sottotipi e le loro evoluzioni. Resta infatti possibile, anche se non probabile, che una nuova pandemia possa aver origine dal sud est asiatico, dove la più alta densità e la più stretta promiscuità tra popolazioni umane ed animali, oltre alla diffusa presenza di mercati di animali vivi, determinano un rischio maggiore.
Il controllo veterinario della patologia aviare, il monitoraggio e la ricerca sui selvatici e l’informazione sono le armi che l’OMS ha deciso di mettere in campo per scongiurare il rischio di nuove pandemie.
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