
Rimborsi choc sulle pensioni: parte il ricorso per gli aumenti fantasma - antropozoonosi.it
Un pensionato contesta la mancata progressività nelle fasce di rivalutazione: la Corte Costituzionale torna a esaminare la legittimità degli aumenti applicati nel biennio dell’inflazione record.
La Corte Costituzionale è di nuovo chiamata a esprimersi sulla rivalutazione delle pensioni riferita agli anni 2022 e 2023, già oggetto di polemiche e ricorsi nel recente passato. Al centro della questione, come un anno fa, c’è il meccanismo con cui il governo ha adeguato gli assegni pensionistici all’inflazione, applicando tagli non progressivi sulle fasce più alte.
Nel 2023 la Consulta aveva ritenuto legittima la scelta dell’esecutivo, stabilendo che la riduzione della perequazione per i trattamenti sopra i 2.400 euro mensili non violava alcun principio costituzionale. Ora, però, il caso torna d’attualità con un nuovo ricorso. A promuoverlo è stato il Tribunale di Trento, che ha trasmesso alla Consulta un’ordinanza di rinvio per valutare nuovamente la costituzionalità del metodo adottato.
Il ricorrente, un pensionato colpito dal taglio, non contesta tanto l’importo ridotto, quanto il modo in cui è stato calcolato: non a scaglioni, ma sull’intero ammontare della pensione. Un’impostazione che, secondo la sua tesi, contrasta con il principio di progressività previsto dalla Costituzione.
Le fasce di rivalutazione e le differenze nei trattamenti
Nel biennio 2022-2023, le pensioni sono state rivalutate in base a un meccanismo a fasce rigide. Questo schema prevedeva: il 100% di rivalutazione per gli assegni fino a 4 volte il minimo; l’85% tra 4 e 5 volte; il 54% tra 5 e 6; il 47% da 6 a 8; il 37% da 8 a 10; il 32% oltre 10 volte il minimo (sceso poi al 22% nel 2024).
Ma il nodo sollevato dai ricorsi riguarda il criterio applicato: invece di agire per scaglioni, la percentuale di rivalutazione è stata calcolata sull’intero assegno pensionistico, riducendo l’importo anche per la parte che, in teoria, avrebbe dovuto essere rivalutata interamente.

Per capirlo con un esempio, una pensione da 6.500 euro al mese non ha ricevuto un aggiornamento pieno per la parte fino a 2.400 euro, come accadrebbe con le aliquote fiscali. In quel caso, il taglio si sarebbe dovuto applicare solo alle quote superiori. Il risultato, per molti pensionati, è stato un taglio più pesante del previsto, soprattutto in un periodo segnato da un’inflazione elevatissima: 8,1% nel 2022 e 5,4% nel 2023.
Nel 2024, con un’inflazione molto più bassa (0,8%), il governo ha rivisto il sistema, introducendo un criterio meno penalizzante e più lineare: 100% fino a 4 volte il minimo, 90% tra 4 e 5 volte, 75% oltre 5 volte. Ma le criticità del passato restano e ora saranno riesaminate.
La Consulta valuta di nuovo il principio di equità
L’ordinanza del Tribunale di Trento riporta al centro del dibattito il principio di equità, sancito dalla Costituzione come criterio fondamentale nel trattamento fiscale e previdenziale dei cittadini. La domanda posta ai giudici costituzionali è se sia legittimo applicare un taglio su tutto l’importo della pensione, senza salvaguardare almeno la parte base, come accade per la tassazione a scaglioni.
Chi ha presentato il ricorso non contesta l’esistenza di una differenziazione tra pensioni alte e basse, ma il fatto che questa differenziazione sia avvenuta senza rispettare la proporzionalità. Se la Consulta dovesse ritenere fondata la tesi, si aprirebbe una nuova possibilità di rimborso per chi ha subito la penalizzazione.
Nell’ultimo verdetto, i giudici avevano escluso qualsiasi violazione costituzionale, ritenendo il “sacrificio” richiesto ai pensionati più abbienti contenuto e giustificabile in un’ottica di bilanciamento dei conti pubblici. Stavolta, però, si entrerà più nel dettaglio del metodo, e non solo del risultato finale.
Per molti osservatori, è qui che il ricorso potrebbe avere maggiori possibilità di accoglimento. Se il principio di progressività sarà riconosciuto come violato, si potrebbe arrivare – almeno in linea teorica – a un ricalcolo delle pensioni e a possibili rimborsi retroattivi. Una prospettiva che, qualora accolta, potrebbe avere effetti ampi su bilanci e contenziosi in tutta Italia.
La sentenza, prevista nei prossimi mesi, chiarirà se il taglio sia stato solo impopolare o anche illegittimo.